RAFFAELE MORELLI by [....]

RAFFAELE MORELLI by [....]

Author:.... [....]
Language: eng
Format: epub
Tags: none
Published: 2013-03-28T04:00:00+00:00


mezz'ora, e di salire sul primo aereo.

I grandi viaggiatori vivono ogni partenza come un appagante cambiamento di stato, che rinfresca corpo e coscienza con una ventata di nuova energia.

Quando un nostro caro o un nostro amico muore, noi per reazione piangiamo e ci disperiamo. Perché? Ma soprattutto, per chi? Chi se n'è andato, non è più. Non a caso spesso si sente dire, specialmente quando si trattava di una persona malata: Ha smesso di soffrire». E dunque, razionalmente, questo distacco da una condizione di sofferenza dovrebbe essere per noi motivo di gioia.

Il nostro pianto, invece, il più delle volte nasconde autocommiserazione, non sincero dispiacere per la perdita. È un pianto che simboleggia un attaccamento molto diffuso.

- il "possesso" fisico di chi amiamo.

Questo nostro dolore è di nuovo un cascame de) pensiero, una scoria delle nostre elaborazioni mentali: è l'incapacità di lasciar scivolare via dolcemente ciò che non è P'ù e, specularmente, la tendenza ad aggrapparsi a situazioni che ormai appartengono al passato. Leggiamo invece quanto scrive il saggio indiano Krishnamurti: Quando ci guardiamo con la morta identità di ieri, usciamo dal flusso del presente, dalla giovinezza, e dall'attualità^.

pensiamoci: in una fase storica come quella attuale, accanto alle paure tradizionali (malattie, invecchiamento, morte) avvertiamo accanto a noi i nuovi fantasmi della recessione, della guerra, il timore di attacchi con armi chimiche, l'instabilità politica internazionale, l'ambente esterno in cui

siamo calati ci appare particolarLA FELICITÀ COME VIA AL CONOSCERSI

mente ostile. In una situazione come questa, la ricerca della felicità non può che passare attraverso noi stessi, attraverso la nostra capacità di conoscerci e credere nelle nostre risorse, attraverso la nostra autostima.

Guardiamoci attorno: stiamo perdendo il senso della felicità intesa come slancio, come manifestazione esteriore di entusiasmo, come energia che non dipende da fattori temporali, come "carica" che agisce solo ed esclusivamente nell'oggi.

Non s'incontra più per strada gente che sorride o che fa gesti che manifestano felicità. Vediamo le strade e le piazze piene di sguardi tristi, di persone ingobbite, ingri-gite, spente. Al massimo, ci può capitare di conversare con persone che, non senza un certo sarcasmo, ci chiedono: Sei felice?», quasi aspettandosi una risposta negativa. Simile a quella che darebbero loro.

Eppure, ricordiamolo ancora una volta, noi cominciamo a non essere più felici da bambini, verso i

4-5 anni, nel momento in cui qualcuno - in genere i genitori, poi gli insegnanti — inizia a imporci degli schemi di comportamento. I bambini, invece, da soli sono felici: vivono in un flusso di tempo ininterrotto e non hanno percezione del passato e del futuro, si concentrano più sul fare che sul pensare, non sono gravati da obblighi sociali o morali, sono fondamentalmente liberi.Proviamo allora a socchiudere la porta e guardiamo in silenzio un bambino che gioca nella sua stanza: è tutto preso dal trenino o dai vestiti della bambola, i suoi occhi, Ja sua mente, le sue mani, tutte le facoltà sensoriali sono concentrati nell'atto del fare, del creare, del manipolare il suo gioco. Non c'è nulla che lo distolga: semplicemente un bambino è, e la sua felicità è piena, indefinita.



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